Philip Roth: La macchia Umana

Philip Roth La macchia umana

Titolo originale: The Human Stain, 2000
Genere: denuncia sociale
Einaudi Editore (395 p.)

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L’ammirazione quasi reverenziale che nutro per Roth, si traduce in grande trepidazione ogni volta che mi accingo a leggere uno dei suoi romanzi. So già che mi piacerà, e anche se per qualche motivo la trama non dovesse incontrare il mio gradimento, ci sarà comunque lo stile, l’impianto narrativo e i personaggi magistralmente descritti, a farne un’opera che sarà valsa la pena di aver letto.

Veniamo al romanzo in questione. La vicenda è già tutta successa, i fatti che vi anticipo sono narrati nei primi capitoli e anche questa volta è Nathan Zuckerman a raccontarceli (come in Pastorale Americana, ndr).

Coleman Silk è un professore universitario settantenne ma ancora piacente, la cui carriera impeccabile è macchiata dall’accusa infamante di razzismo. Il professore, docente di lettere antiche, usa la parola “spooks” (la riporto in lingua originale perché in italiano non avrebbe reso il giusto senso) per riferirsi a due studenti assenteisti, che mancano fin dalla prima lezione. Peccato però che il termine abbia due accezioni: la prima – da vocabolario – significa spettri, fantasmi, ed è calzante con la situazione, la seconda invece appartiene allo slang, ed è un insulto dispregiativo nei confronti della gente di colore. E si dà il caso che i due studenti sconosciuti siano proprio di colore. Scoppia dunque lo scandalo, ma ben presto scopriamo che è solo un pretesto cavalcato dagli accademici dell’Istituto per liberarsi di un collega scomodo, o almeno dargli una lezione e castigare la sua superbia.

Il professor Silk infatti è brillante, ha una personalità titanica, è oltremodo competente nelle sue materie, ma è anche arrogante e despota. Grazie al potere della sua carica ha licenziato i nullafacenti e avviato un processo di cambiamento nel College, verso un’impostazione più dinamica e meritocratica. Proprio a lui si deve l’assunzione del primo docente di colore, quindi l’accusa di razzismo è chiaramente un appiglio punitivo.

Eppure nessuno, proprio nessuno dei colleghi si schiera apertamente dalla sua parte e Coleman è lasciato solo a districarsi in mezzo alle indagini interne e agli interrogatori-farsa. C’è un colpo di scena, Coleman Silk è troppo orgoglioso, non accetta l’onta subita, e a sorpresa si dimette, ritirandosi in un rabbioso esilio.

Quando due anni dopo il professore allaccia una relazione improbabile ma fisicamente appagante con Faunia Farley, bidella semianalfabeta del campus di trent’anni più giovane, la piccola comunità grida di nuovo allo scandalo e lo attacca nuovamente con accresciuta ferocia. Coleman non intende piegarsi alle regole di una società bacchettona (lui è vedovo, lei separata) che lo accusa di vivere al di fuori della decenza. La situazione è resa più complicata dall’ex-marito di Faunia, veterano del Vietnam che soffre di disturbi comportamentali. Un’aura di suspense aleggia nell’intero romanzo, per un segreto che Coleman nasconde e che sarà svelato e chiarito nel finale.

Il romanzo si muove su più piani, la vita del College, la vita privata presente e passata di Silk, le tragiche vicende dei coniugi Farley, la feroce guerra del Vietnam, il sogno americano infranto dal sexgate di Clinton.

Anche stavolta Roth non delude i suoi lettori, con uno stile pulito e senza fronzoli ci regala pagine che spaziano sui temi a lui cari, primo fra tutti la sensualità e l’erotismo. Mi è piaciuto moltissimo, lo consiglio.

 

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