Jonhatan Bazzi: Febbre

Jonhatan Bazzi: Febbre

Genere: confessionale, autobigrafico
Fandango Libri

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Questo romanzo, candidato al Premio strega 2020, è l’opera prima di Jonathan Bazzi, 31 anni, originario di Rozzano, quartiere-dormitorio dell’estrema periferia sud di Milano, che ha deciso di raccontarci senza reticenze la sua condizione di sieropositività all’HIV, dalla scoperta del male fino alla sua accettazione, passando per i vari gradi di turbamento psichico e le problematiche sociali che tutti possiamo immaginare.

L’alternanza di capitoli Presente e Passato è vincente, l’isolamento in casa, la febbre che non va via, lascia grande spazio alla ricerca delle “proprie radici”: da dove vengo? Come ho fatto ad arrivare fino a qui? Avanzando nella lettura, entriamo nel mondo di Jonathan e riusciamo quasi a vederlo nelle sue difficoltà e nei suoi talenti, ignorati o peggio calpestati.

La vita è dura per chi abita a Rozzano, dove prostituzione, violenza, abbandono scolastico, povertà e pregiudizio sono il pane quotidiano dei suoi abitanti. Seguiamo attoniti i tentativi di Jonathan per sopravvivere e districarsi dai continui disagi, nella sua costante ricerca di un equilibrio all’interno della sua variegata famiglia: i genitori separati, i nonni che si occupano di lui, gli zii. Jonathan è un ragazzo timido, studioso, balbuziente e sicuramente eccentrico nell’abbigliamento, tutte qualità che diventano pretesti per continui atti di bullismo da parte dei compagni di scuola. E ai ricordi di vita si avvicendano descrizioni della malattia che lo debilita, della paura, dei dubbi, ma anche della volontà di reagire e riscattarsi.

Mi è piaciuto molto questo romanzo, un coming out davvero spiazzante. È però un grande torto ridurre la storia in termini di sieropositività, omosessualità, pregiudizi, emarginazione, perché dentro c’è molto, molto di più. Le pagine del libro si lasciano divorare, la storia è molto coinvolgente, mi ha emozionato e in alcuni punti turbato, perché l’ho letta con gli occhi di madre, un approccio sicuramente diverso da quello che potrebbe avere un lettore giovane.

Ognuno trova nel libro la personale chiave di lettura, personalmente sono rimasta colpita dall’importanza che Jonathan dà allo studio e alla cultura, alla filosofia come maestra di vita e all’azione liberatoria della scrittura, immune da qualsiasi forma di balbuzie. Mi è piaciuto molto anche lo stile, fluido, asciutto, sincero, che trovo sia quello giusto e necessario per un romanzo confessionale.

Un libro duro sotto molti aspetti che porta anche un messaggio: è vero, non si muore più di HIV, ci sono terapie farmacologiche sempre più efficaci per combattere l’infezione, ma è importante non sottovalutarla. Un romanzo che vi consiglio e che non vi lascerà indifferenti.

Buona lettura e alla prossima!

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