Emanuelle Favier: Virginia

Emanuelle Favier: Virginia

Guanda editore, 2020

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Sulla base di diari, lettere, documenti e articoli, Emmanuelle Favier tratteggia il caleidoscopico ritratto di una giovane Virginia Woolf, passando dalla piccola  Ginia fino all’adolescente Miss Jan, ragazza piena di insicurezze fisiche e psicologiche, alla continua ricerca della propria identità e non ancora consapevole del suo essere Virginia (la scrittrice che noi conosciamo).

L’originalità di questa biografia romanzata sta nel narratore che appare come un occhio “spione” capace di osservare la storia da spettatore, in grado di allargare o stringere la focale sulle stanze del civico 22 di Hyde Park Gate. L’occhio spione ci racconta l’episodio esatto quando possiede stralci di diari o lettere o fotografie da cui trarre indizi, ma dove non esistono prove tangibili e quindi “non può vedere”, colma la lacuna con l’immaginazione. E le ricostruzioni presunte sono ugualmente perfette ed empatiche e si incastonano in piena coerenza con il racconto che si sta sviluppando.

Si comincia con il 1875, anno d’incontro dei suoi genitori. Leslie Stephen e Julia Jackson sono entrambi vedovi seppur giovanissimi. Sono di famiglia benestante e vicini di casa, tre anni dopo decidono di ricomporre una famiglia. La “nidiata Stephen” sarà composta di quattro marmocchi, sfornati quasi uno all’anno, Vanessa (1879), Thoby (1880), Virginia (1882) e Adrian (1883) che si aggiungono ai figli di primo letto: Laura, figlia unica di papà Leslie e poi George, Stella e Gerald, i tre figli di mamma Julia. Virginia è dunque la penultima di otto fratelli di questa famiglia allargata. Il padre è un intellettuale e scrittore affermato che si diletta in biografie di grandi personaggi, la madre Julia, bellissima, è tutta carità e beneficienza, spende il suo tempo tra i malati e i poveri di Londra.

Ginia si rivela fin da subito bambina sensibile, osservatrice della natura e di ogni cosa che si muove, fosse anche una foglia. Ha le sue paure ma non sa a chi confessarle, troppa gente in quella casa, dieci sono loro e poi ci sono sette domestici che vivono nel seminterrato. Passa il tempo a leggere, scrive già il diario, cresce in adorazione della bellissima madre (poco presente) e dei fratelli maggiori Vanessa e Thoby. Dei fratellastri solo Stella è amata quasi come una sorella, Laura un po’ ritardata è esclusa dalla vita quotidiana (sarà poi internata), i fratellastri hanno 14 e 12 anni più di lei, troppo grandi per essere compagni di giochi. E scopriamo infatti che i giochi dei fratellastri sono ben altri, Virginia e la sorella Vanessa saranno molestate sessualmente per anni nella cupa casa vittoriana.

La scomparsa della madre (1895) è il primo grande lutto che colpisce la famiglia. Avere a che fare con la morte a tredici anni è cosa orribile e le paure che Virginia si porta dentro si rinnovano e si acuiscono: “il dorso del mostro lacustre spunta dalla superficie”.

Papà Leslie, vedovo per la seconda volta, reagisce malissimo a questa nuova prova della vita, è inebetito, sprofonda, la famiglia è disgregata per sempre. Stella prende le redini della casa, ma niente è più come prima, Leslie bandisce perfino le estati nella casa di St. Ives in Cornovaglia, amate da tutti i bambini e soprattutto da Julia e quindi piena di ricordi penosi.

Due anni dopo muore anche Stella, sposata da appena tre mesi, e Virginia è sconcertata da queste assenze improvvise, il pensiero colloso della morte non va più via, solo i libri riescono ad alleviare la sua pena e contrastare il dorso della bestia, che affiora sempre più spesso. L’adolescenza preme e lei non riesce nemmeno ad accettare il suo corpo magro, pieno di spigoli, la faccia lunga, il naso grande. I suoi comportamenti stravaganti gridano fame di attenzione ma nessuno li comprende. I libri restano l’unica consolazione. Miss Jan continua a riempire i diari, dove annota le sue emozioni, ciò che vede e sente, ma non è convinta che sia quella la sua strada. Degno di nota è il passo in cui Virginia si interroga sulla scrittura femminile, quando si chiede se per scrivere sia necessario dimenticare di essere donne, visto che le scrittrici praticamente non esistono o peggio per pubblicare sono costrette ad usare uno pseudonimo maschile. La narrazione si chiude con il 1904, l’anno di un nuovo lutto in casa Stephen, che è anche l’anno in cui si spalanca l’abisso per la prima volta e l’anno dell’indipendenza: Virginia ha ventidue anni e, ormai orfana, lascia la casa paterna per trasferirsi a Bloomsbury. E’ l’ora di voltare pagina.

Ho amato l’elegante prosa di Emmanuelle Favier che ricalca la raffinata scrittura di Virginia; mi è piaciuta l’impostazione del libro, la scelta di raccontare i primi anni di vita della scrittrice londinese meno noti, e a me completamente sconosciuti. È ammirevole la delicatezza usata dalla Favier per descrivere le turbe, la malinconia, la solitudine di questa giovinetta inquieta e ribelle, le parole scelte per delineare la sua crescita, in senso artistico e personale.

Il romanzo è la chiave per comprendere come Ginia sia potuta diventare Virginia, attraverso queste splendide pagine la vedremo crescere in un ambiente colto ed erudito, ma con la scrittura e la letteratura riservata ai soli uomini, la vedremo soffrire per l’istruzione negata, per il college destinato solo ai fratelli maschi, la vedremo crucciarsi al pensiero del ruolo  che l’aspetta, tra pranzetti e figli da accudire, così come conosceremo la sua personalità indomita, il desiderio di rompere le categorie e anche la necessità di cercare conforto in compagnie femminili senz’altro più rassicuranti.

Sono stata un po’ lunga ma il libro merita davvero, posso senz’altro annoverarlo tra le migliori letture di questo 2020. Ho capito tante cose leggendo questo romanzo, mi sono tornati in mente passi delle sue opere, lette anni fa ma ancora presenti nella mia mente, e ho afferrato il segreto dei suoi diari, splendidi, poetici: la sua palestra di allenamento.

Consiglio questo libro a chi ha voglia di approfondire questa grande scrittrice e a chi non la conosce affatto, questo romanzo tocca le corde, è impossibile non entrare in empatia con Virginia e regala lo slancio per la lettura delle sue opere.  Per me è arrivato il momento di rileggere tutta la sua opera, stavolta con maggiore consapevolezza.

Buona lettura e alla prossima!

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