John Steinbeck: Al Dio sconosciuto

John Steinbeck: Al Dio sconosciuto

(titolo originale: To a God Unknown, 1946)

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“Al Dio sconosciuto” è il quarto romanzo di John Steinbeck. Considerato dai critici opera di fascia minore, è di una bellezza inaspettata. Edito da Bompiani, in lingua italiana esiste solo nella traduzione di Eugenio Montale, del 1946.

Racconta di Joseph Wayne, contadino del Vermont, che lascia la sua terra per la California, sorta di terra promessa. La fattoria dove vive con il padre e fratelli non basta per tutti e lui vuole una terra soltanto sua. Il West è la soluzione al suo problema.

Il Padre è riluttante a lasciarlo andare perché anche se non è il figlio maggiore, vede in lui qualcosa che i fratelli non hanno : “c’è in te qualcosa di più forte, Joseph, di più sicuro e più intimo”.

“Ma stanno appoderando i terreni del West, padre. Basta vivere un anno sulla terra, ararla un poco e costruirvi una casa e la terra è vostra. nessuno può portarvela via. “

Joseph è determinato e non sente ragioni, quel che ha deciso, farà.

“Era un estraneo nella casa e sentiva che i suoi fratelli sarebbero stati contenti dopo la sua partenza. se ne andò prima che fosse venuta la Primavera e quando giunse in California l’erba era verde sulle colline. “

Dopo la morte del padre, anche i fratelli con le loro famiglie si trasferiscono in California, c’è del terreno libero adiacente al podere del fratello.

La convivenza non è facile, Joseph è un uomo taciturno, istintivo e animalesco, ha con la terra un legame quasi di sangue, la sente, le parla, e poi c’è il grande albero, in cui ravvede lo spirito del padre defunto e a cui prodiga attenzioni e riti pagani. Le sue strane manie esasperano Burton, il fratello più religioso, assillato dalla vendetta di Dio.

Tra alti e bassi la fattoria prospera, la valle è verde, le famiglie si allargano, Joseph stesso si decide finalmente a prender moglie, Elisabeth, che gli darà un bambino. Niente però dura per sempre, inquietanti presagi avvisano che i tempi stanno per cambiare. Nell’arida California la vita è legata all’acqua e quando i mesi passano senza pioggia, le colline  e i campi si coprono di polvere.

“Quando novembre venne e passò senza pioggia, Joseph divenne silenzioso dal cruccio. Andò a cavallo alle sorgenti e le trovò inaridite, cacciò profondo a terra il suo piantapioli senza trovare umidità. Le colline ingrigivano perché il loro mantello d’erba si consumava e le selci bianche uscirono alla luce. A metà dicembre le nuvole si ruppero e si sparpagliarono. Il sole si fece caldo e un fantasma d’estate venne sulla vallata.”

Una sensazione di angoscia avvolge l’intera vicenda, la percepiamo ineluttabile e con grande turbamento attendiamo di vedere la scure calare impietosa e seminare morte.

Le descrizioni di Steinbeck sono magnifiche, disseminate di odori e suoni in grado di creare  grande suggestione. Aleggia tra le pagine un’aura di sacralità che dona al racconto un che di mistico.

E con un finale da dieci e lode, Steinbeck spezza in maniera magistrale tutta la tensione accumulata, lasciandoci sgomenti ma appagati, perché la Terra è crudele ma anche giusta, profondamente giusta.

Vi consiglio questo romanzo, rimarrete affascinati!

Buona lettura e alla prossima.

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